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TRATTA E SFRUTTAMENTO DEL LAVORO

Una recente indagine della Questura di Caltanissetta – conclusasi con otto arresti e due domiciliari –ha portato alla luce l’ennesimo caso di lavoro nero e caporalato nei terreni agricoli nisseni e nell’area dell’agrigentino.  La manodopera straniera, prevalentemente di origine marocchina, era costretta a lavorare 8/9 ore nei campi con uno stipendio inferiore ai 4 euro l’ora, sprovvista di copertura sanitaria o possibilità di assentarsi in caso di malattia. Coinvolti anche alcuni imprenditori e proprietari terrieri che, pur consci delle condizioni degradanti a cui i lavoratori erano sottoposti, si affidavano alle organizzazioni criminali per il loro reclutamento.

Un modello criminale, quello emerso dall’indagine della Digos, che purtroppo non rappresenta un caso isolato e che interessa non solo il settore agricolo siciliano, ma molteplici aree su tutto il territorio nazionale. Tra i settori coinvolti, infatti, sono consistenti i casi di lavoratori e lavoratrici impiegati nel volantinaggio, nei distributori di benzina o negli autolavaggi, nella logistica o nei trasporti. Rilevanti anche i casi dei settori industriali legati alla manifattura tessile, lavorazione del pellame e cantieristica navale. L’introduzione della legge n.199 del 2016 ha contribuito all’emersione del fenomeno di caporalato, ma siamo ancora lontani da una risoluzione. In particolare, ancora minima è la percentuale di indagini avviate a seguito di segnalazioni da parte di lavoratori sfruttati.

Le testimonianze relative all’impiego di manodopera straniera nelle aree di Catania e Ragusa, raccolte da Flai Cgil nel IV Rapporto su Agromafie e Caporalato, raccontano di persone spesso reclutate con il passaparola, costrette a condizioni di lavoro indecenti e, soprattutto negli ultimi anni, relegate in condizioni abitative degradanti. Tale contesto, unitamente al timore di rimanere senza sostentamento per sé per le proprie famiglie, finanche alle minacce fisiche ad opera dei caporali, contribuisce alla reticenza da parte delle vittime di denunciare la propria condizione.

 

Ritornando nello specifico al territorio di Caltanissetta, un’indagine di Su.pr.Eme Italia, progetto cofinanziato dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione dell’Unione Europea, ha rivelato la presenza di un contingente numero di lavoratori stranieri, circa 400, per lo più di origine Pakistana, i quali lavorano presso aziende agricole situate sul territorio provinciale o presso le province limitrofe. Lavoratori stranieri che si organizzano in gruppi e viaggiano con i propri mezzi o attraverso i mezzi pubblici per raggiungere i luoghi di lavoro situati nelle zone di Gela, Licata e Canicattì. Le informazioni raccolte evidenziano turni di lavoro fino a 12 ore giornaliere, a cui si aggiunge il tempo del viaggio per rientrare a Caltanissetta, dove molti di loro vivono con le proprie famiglie, o in appartamenti in affitto condivisi con altri connazionali o altri cittadini stranieri.

È allora chiara l’importanza di strutture sociali che, oltre al tessuto normativo, agiscano da sostegno per i lavoratori che subiscono gravi forme di sfruttamento, in un’ottica di integrazione e di presa di coscienza dei propri diritti. Con questo obiettivo è stato istituito il Polo di inclusione sociale di Caltanissetta, un centro polifunzionale per la presa in carico di soggetti provenienti da Paesi terzi, nato dall’intesa tra l’associazione Don Bosco 2000, cooperativa sociale Etnos, cooperativa sociale Feedback e Das società cooperativa. Un centro dove nascono interventi finalizzati al superamento di tutte le gravi forme di sfruttamento lavorativo, di marginalità e vulnerabilità, nonché l’integrazione degli immigrati accompagnandoli verso l’autonomia sociale ed economica.